Esche Vive

Fabio Genovesi è lo scrittore che vorrei essere io. Lo avevo capito con Chi Manda Le Onde, letto a novembre 2015, e ne ho avuto conferma con Esche Vive, che è il suo romanzo d’esordio

E poi, con Genovesi, a me succedono sempre cose strane. Cose che sono coincidenze e che mi piacciono tantissimo.

Chi Manda Le Onde racconta la storia di Luna, una bimba albina che colleziona le meraviglie che il mare porta a riva, di sua madre, una donna sola, splendida, che veste come un maschiaccio e ha perso ogni speranza di amare qualcuno oltre i suoi figli, e di una serie di strambi personaggi che si raccolgono attorno a loro dopo la morte di Luca, il primogenito bellissimo che ha un incidente mentre sta surfando.

Un incipit tragico per un romanzo divertente, acuto, costruito perfettamente.

Non che quella tristezza iniziale svanisca in assoluto: resta, ma si trasforma, pagina dopo pagina, come a dire che Ehi, è la vita, fa schifo, per tutti, nessuno escluso, ma è vita, e non si ferma, anche se la vorresti fermare, anche se succedono cose che no, sei certo di non poter superare, le superi, trovi il modo, devi solo rinunciare a stare immobile, devi ondeggiare, come il mare appunto, e ti ritrovi a vivere, ammaccato, sconvolto, ma continui a vivere e forse addirittura a ridere. E non devi sentirti in colpa, se vivi dopo il dolore, è giusto vivere, è giusto andare avanti, a modo tuo, ma avanti.

Ecco, dopo Chi Manda Le Onde, proprio subito dopo, cominciai Riparare I Viventi della francese Maylis de Kerangal, comprato senza leggere la trama, solo per quel titolo che sembrava una risposta alla domanda più urgente di quel periodo: come ci si aggiusta quando si è caduti e ci si è rotti in mille pezzi? Ci sono titoli a cui non so resistere. Riparare I Viventi era uno di quelli.

Con grande sorpresa, guarda i casi della vita, l’incipit era lo stesso del romanzo di Genovesi: un ragazzo che muore surfando.
Ma in questo caso, il seguito era lo straziante racconto della donazione di organi che i genitori decidono di intraprendere. Una storia dolorosa, intima e intensa come immagino che solo la perdita di un figlio possa essere.

All’epoca mi aveva fortemente colpito come uno stesso spunto narrativo, proprio uguale uguale, potesse dare vita a storie tanto diverse.

E ora è successo di nuovo, in una sequenza di letture estive che ha è cominciata con Dente per Dente di Francesco Muzzopappa ed è proseguita con Esche Vive, appunto.

Partiamo da Dente Per Dente: Leo lavora in un museo di Varese dove sono esposte le opere più brutte dei migliori artisti contemporanei. Ha perso due dita della mano in un incidente ed è fidanzato con una ragazza bellissima e cattolicissima, che in nome della fede non vuole fare sesso prima del matrimonio. Il giorno che Leo la trova a letto con un altro, decide di mettere in pratica il biblico “dente per dente” (Levitico 24, 19-20), trasgredendo uno dopo l’altro a tutti e dieci i comandamenti.

Il risultato è un romanzo carino, veloce, scritto con una prosa leggera e brillante, non spassoso ma divertente, perfetto per la spiaggia o per un weekend noioso di pioggia tornati dalle vacanze. Carino, appunto, ma niente di più.
Da leggere per svagarsi, per sorridere, per intrattenersi, ma da cui si esce identici a come ci si è entrati, in quella storia.

Ed è un peccato, perché Muzzopappa dimostra di avere una dialettica e una fantasia eccezionali, che sfoggia in modo magistrale quando descrive le opere del museo immaginario in cui lavora Leo e che ti fanno pensare che lo vorresti come amico, sto Muzzopappa, che è uno che sa far ridere un sacco, non solo per il cognome, ma perché sicuramente all’aperitivo racconta degli aneddoti che ti ribalti dalla sedia. Ma poi forse non lo chiami quando hai qualcosa di serio di cui parlare.

In quel caso, chiameresti Genovesi, che in Esche Vive costruisce un protagonista molto simile al Leo di Dente Per Dente: si chiama Fiorenzo ed è un adolescente che ha perso la mano destra lanciando un petardo.  In paese, a Muglione, è stato a lungo deriso per il suo handicap, con tutti i soprannomi che la provincia, la piccola e annoiata provincia italiana, riesce a trovare per chi ha un corpo offeso: Monco, Manina, Braccino.

Attorno a Fiorenzo e alle sue passioni per la pesca e per l’heavy metal, Genovesi fa gravitare vite e storie tutte normalissime e tutte eccezionali: Roberto, il padre che allena la squadra di ciclismo e sogna di trovare un campioncino che gli regali la fama non ottenuta da ciclista professionista; il piccolo Mirko, che sembra essere proprio quel campioncino; Tiziana, che dopo una brillante carriera universitaria, è tornata a Muglione per fare la differenza e invece si trova intrappolata in una vita che sembra immobile; Mazinga e gli anziani del paese.

E così, se in Dente Per Dente la mano senza due dita è un elemento della storia, in Esche Vive quella stessa mano amputata è la metafora di tutte le storie che le ruotano attorno:

Perché il vuoto vero non è il niente, ma il niente dove invece dovrebbe esserci qualcosa. Qualcosa di importante, che c’è sempre stato, poi a un certo punto guardi e ti accorgi che quella cosa non c’è più. […[ È sempre così: quello che manca conta molto di più di quel che c’è.

Fabio Genovesi è lo scrittore che vorrei essere io perché sa raccontare storie di tutti. Come questa, che parla a chiunque abbia avuto qualcosa di importante e ora non ce l’ha più. Un amore, un padre, un amico. A chiunque abbia fatto i conti con la difficoltà di riempire il vuoto lasciato. A chiunque abbia provato a compensare la mancanza con qualcosa d’altro. A chiunque abbia imparato, o stia imparando, a usare la mano sinistra del cuore. A chiunque abbia capito, o debba capire, che se c’è un modo per riuscirci è sognare.

Nella vita è meglio avere tanti sogni perché funziona come le cartelle della tombola: più ne hai e più è probabile che vinci.

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